A cura di Marina Pillon
Vi è mai capitato di fare delle domande e dall’altra parte anziché una risposta sentire un fiume di parole come un copione imparato a memoria o dire delle cose e poi sentirvi chiedere quello che avete appena detto?
Se la risposta è si, potrebbe ancora essere che ci siano problemi nella vostra comunicazione. Ma se osservando intorno questo fenomeno risultasse essere sempre più diffuso?
La capacità di ascolto è sempre stata inferiore alla loquacità generale, ma negli ultimi tempi qualcosa di nuovo ha peggiorato questo rapporto; c’è un grande bisogno di essere ascoltati e quasi nessuno pronto o capace di ascoltare davvero!
La spinta tecnologica del momento e l’iper-connessione accelerata hanno mandato in tilt l’equilibrio naturale nel metabolizzare le informazioni. Ci vorrà del tempo perché si raggiunga un nuovo livello armonico.
Ma se l’uso eccessivo delle tastiere in luogo di carta e penna, l’accesso senza limiti a ogni sorta di informazione, il proliferare di programmi che sintetizzano e creano al posto della persona possono indebolire la capacità cognitive, c’è un altro pericolo da tenere in considerazione: le conseguenze di una comunicazione tossica.
Insieme ai singoli pregiudizi, sofferenti per la difficoltà a gestire la complessità, in difficoltà per gli eventi della vita, presi da paure, ingiustizie e danni potenziali o reali, come esprimiamo nel relazionarci i nostri pensieri?
Nel cercare di semplificare, partendo da situazioni di disarmonia, il prolifico uso di etichette diventano sigle cariche di odio e paura. Non sono solo le parole, ma anche i fatti, i comportamenti che coloriamo di quelle emozioni negative a intossicare la nostra realtà.
Già perché ogni volta che usiamo brutte parole o parole normali con intento denigratorio, ogni volta che con l’eloquio o il comportamento portiamo a separazioni e categorizzazioni creiamo ferite negli altri, ma anche nel nostro cervello. Senza considerare gli atti estremi di violenza.
Se non abbiamo lo stesso paese di origine, la stessa religione, lo stesso genere, la stessa cultura, le stesse abitudini, la stessa fisicità, se non la pensiamo allo stesso modo, potremmo crescere nell’integrazione, o potremmo anche semplicemente restare in posizioni diverse, ma rispettose. Quando una diversità è occasione di “lapidazione” verbale, di aggressività o disprezzo, si sta distruggendo qualcuno fuori e qualcuno dentro e quel qualcuno dentro siamo noi.
Si può essere più o meno confidenti con la capacità comunicativa, ma l’intento con cui ci si relazione ha un grandissimo peso.
In un panorama confuso e fluido ci si immerge costantemente in flussi di informazioni-emozioni come l’aria che respiriamo.
Vorremmo respirare aria tossica, impregnata di odio, aggressività, disprezzo?
Eppure è quanto accade quando ci si lascia dominare dalle paure e dal senso di sopraffazione personale o generale.
Come uscire da tutto questo? Disintossicando una società sconnessa, attraverso un lavoro faticoso di auto-consapevolezza.
In futuro potremmo essere tutti bravissimi sia a padroneggiare la complessità e a muoverci abilmente in contesti destrutturati o con regole molto diverse da un tempo, sia nella comunicazione non violenta.
Occorre ora però lavorare sulla consapevolezza o la complessità ci porterà a voler controllare per paura, i contesti nuovi porteranno a schieramenti rigidi e intolleranza, tutto l’opposto della flessibilità cognitiva. Tra confusione, eccessiva informazione, disarmonia emozionale è come trovarsi in un intestino dopo i bagordi delle feste: occorre una bella dieta disintossicante.
Il futuro sono i bambini e i giovanissimi di oggi, ma poiché si insegna soprattutto con l’esempio, occorre portare attenzione a come, in totale contrasto agli slogan di integrazione e accoglienza, si sta diffondendo sempre di più odio e aggressività.
Tutto questo non può aiutare il fluire delle informazioni, della comunicazione, dell’amore.
I ragazzi ci guardano e imparano anche i nostri errori, non dai nostri errori.
Se ci sono ragazzini che si suicidano, o se la loro incolumità fisica viene messa in pericolo da compagni a causa di una cultura diffusa di odio per la diversità e per la perdita di contatto con la realtà allora forse occorre cambiare qualcosa di ciò che offriamo come esempio.
Un momento per ritornare a usare il pensiero critico, per valutare le cose alla prova di fatti e approfondimenti.
Un momento per esercitare i diversi punti di vista: il proprio, quello altrui, quello del gruppo, quello generale e quello del singolo.
Un momento per osservare le cose per cosa potrebbero avere come struttura al di là di come vengono raccontate, sfrondando le cose superflue.
Un momento per tornare all’essenziale che è invisibile agli occhi, ma ben chiaro alla luce della consapevolezza.