Di Marina Pillon
Un puzzle che pian piano si scompone e di cui si perdono dei pezzi.
In giorni spesso dai contorni indefiniti, spenti, grigi come nebbia, la propria “realtà” sembra sempre più estraniata dal resto. Senso di smarrimento, isolamento, futuro incerto e nemici nascosti.
Questo è parte del vissuto di persone con disagi personali mai affrontati, alcune malattie degenerative o con shock mai elaborati.
Lo sanno bene, coloro che prestano servizi di assistenza alla persona e coloro che hanno vissuto in prima persona certe esperienze con un caro.
Da squilibri noti e “catalogati” a disagi più sottili, spesso negati e sottovalutati, gli impatti per i soggetti interessati e le persone intorno possono esse davvero devastanti.
La crisi pandemica dell’ultimo anno ha peggiorato le situazioni già in bilico e ne ha create molte nuove.
Magari non avete mai vissuto nulla di grave che vi faccia percepire la profondità del dolore e della paura che rende deforme la vita di chi invece ne ha esperienza diretta, ma potreste trovarvi ad essere anche solo un “puntello di passaggio”.
Se ogni giorno l’ambiente viene travolto da tempeste di sabbia che mutano in continuazione lo scenario e tutto diviene confuso, non ci sono più certezze, anche nei brevi momenti di calma si vive costantemente con la paura dello tornado di eventi, cosa accade?
Correnti basse di preoccupazioni, ansie, incertezze, paure ci logorano, ci consumano. In alcuni casi per sopravvivere ci si crea una “realtà in bottiglia” dove ciò che sembra accettabile resta dentro e tutto il resto proiettato in un “fuori pericoloso” sempre più distante.
Spesso quando si vivono certe esperienze non si è consapevoli ed è importante che chi sta intorno fornisca supporto, ma occorre sempre che chi sta vivendo il disagio voglia essere aiutato. Non si può aiutare chi non vuole essere aiutato, anche attraverso il corretto indirizzamento verso un professionista o la semplice presenza.
Spesso vissuti complicati trascinati e il nascondere sotto la sabbia i problemi portano e epiloghi tragici.
Anche quando si sceglie di affrontare le cose non è facile per le varie resistenze e le preoccupazioni di come possa incidere magari in un quotidiano già in bilico. Ciò che si riesce a celare sotto la sabbia per tanto tempo però un giorno potrebbe emergere come qualcosa di ancora più arduo da gestire.
Quanto più grave è un disagio o una patologia, tanto prima dovrebbe essere affrontato e con un approccio strutturato, non mettendoci toppe.
E’ ormai fatto abbastanza risaputo che molti carnefici che hanno compiuto crimini efferati sono stati un tempo a loro volta delle vittime. Anche a un livello più lieve possiamo osservare facilmente persone che ci raccontano di come sono state psicologicamente bistrattate da un genitore fin da piccole e ora mettono in atto gli stessi comportamenti. Può trattarsi di una rivendicazione, ovviamente inconsapevole, sui propri figli o magari su sottoposti.
Se non si lavora sull’assenza di autostima, sul senso di vergogna, sulla paura e su di sé avremo sempre più delle realtà in bottiglia che prima o poi si schianteranno le une con le altre in un deserto di sabbia e “fantasmi”.
Non è facile, vero, soprattutto perché si tende a mostrare una maschera di invulnerabilità o da vittima, ma in ogni caso non autentica.
E’ fondamentale trovare il proprio tempo e il proprio modo di affrontare la propria vulnerabilità, anche se alimenta paura e vergogna, perché è lì che ci si può ritrovare ed è possibile recuperare senso di naturalezza, spontaneità, gioia, appartenenza.
Se la paura paralizza e la vergogna ci trattiene dal metterci in gioco occorre affrontarle per ritrovare le proprie risorse e aprire il tappo della bottiglia in cui siamo chiusi.
Ho sentito in alcune occasioni che non si dovevano affrontare certe cose perché la persona avrebbe sofferto, avrebbe contattato un dolore troppo forte. Ho visto gli esiti drammatici che quel non affrontare la realtà ha portato.
Se anche solo per la situazione contingente state vivendo un disagio affrontatelo, fatevi aiutare, prima che questo si trasformi in un demone che vi distrugge dentro la vostra stessa realtà in bottiglia.
Occorre liberare il genio della lampada imprigionato dentro alla bottiglia.
In fondo tutto ciò che davvero desideriamo è essere amati, accettati, “far parte di”, anche quando facciamo di tutto per allontanare il mondo e renderci impossibili.
Alla fine di questo lungo periodo di solitudini e paure diffuse ci saranno ancor più esigenze di ricucire il senso di appartenenza e la gioia.
Si dovrà lavorare per riprendere la capacità di attenzione, migliorare la creatività, recuperare energia e far sfumare nebbia cognitiva e ottundimento dei sensi.
Intanto ci si può preparare mantenendosi in allenamento, corpo e mente, ballando con movimento libero anche in casa, come si faceva da bambini. La danza mantiene giovane il cervello, aumenta le capacità cognitive e sembra essere un ottimo anti-ageing per le cellule nervose. Facciamo uscire dalla bottiglia il bambino che c’e’ in noi, lasciamolo libero di muoversi sprigionando endorfine che regolano euforia e gioia, permettiamogli di ritrovare spontaneità, senza schemi.
Poi con i giusti tempi e modi, che si tratti solo di tornare alla vita dopo questo lungo periodo grigio o di affrontare un disagio più importante, recuperate le energie, sarà la volta di uscire definitivamente dalla bottiglia.
Uno strumento? Il contatto, rimedio che allevia e cura ogni dolore, capace di sussurrare: “hai diritto di essere amato, hai diritto di far parte”.