Due mesi fa mi è venuta in mente l’immagine di un viaggio in un paese in cui le donne sono sempre molto coperte in pubblico, anche in spiaggia. In particolare ricordo una giornata calda, 40 gradi all’ombra, una famigliola in riva al mare. Padre e figli giocavano in costume tra le onde, mentre lei, la madre, avvolta in un paio di pantaloni e maglia nera con in testa, e a velare anche il viso, altri strati abbondanti di stoffa, mi guardava da quella fessura che appena restava scoperta. Chissà cosa stava provando.
Mentre ricordavo quel momento stavo facendo la spesa, vestito invernale,guanti e mascherina, cappello e un velo intorno al collo ed a coprire metà del viso. Era una giornata di primavera non particolarmente calda, ma mi sentivo impacciata e non vedevo l’ora di tornare a casa per togliermi di dosso quelle cose che, seppur protettive, mi davano una sensazione di soffocamento. Chissà come fanno le infermiere e tutti coloro che abitualmente utilizzano per lavoro per tante ore abbigliamento e dotazioni simili e più impegnative. Soprattutto ripensando a “lei” la donna velata, mi son chiesta chissà come fa a fare tutte le cose che le mamme affrontano ogni giorno, le difficoltà, l’interazione con i figli.
A volte ci viene in automatico di giudicare una situazione, una persona, magari in buona fede crediamo di esserci immedesimati, ma non possiamo mai davvero sapere cosa prova qualcun altro.
Il fatto che vivere o lavorare in certe condizioni, perché non si tratta solo di abbigliamento, possa essere una scelta, non significa che sia sempre e per tutti facile.
Estendendo il concetto ci sono anche condizioni cui si è sottoposti, di cui si farebbe volentieri a meno, che si subisce per un evento improvviso o da tutta una vita. Immaginiamo ad esempio al doversi muovere con un deambulatore o stampelle o una sedia a rotelle o semplicemente dover essere limitati in quelle che per la maggior parte delle persone sono attività quotidiane “normali”.
Nel diluvio informativo e disinformativo, tra comunicazioni di fonti davvero autorevoli o di “tuttologi superficiali”, in un mondo sempre troppo di corsa anche in momenti di blocco forzato, è sempre più importante imparare a discernere e provare a mettersi nei panni altrui.
Mi dicono questo, mi dicono quello, scrivono questo, scrivono quello, ma io sono capace di avere un mio centro, una mia traiettoria di vita, una capacità di essere presente in ciò che sto facendo, ma senza perdere di vista il mio sogno, la mia direzione? In tutto questo riesco a riconoscere cosa motiva l’altro nel dire certe cose? Sono in grado di valutare l’impatto nel quadro generale delle varie voci? Soprattutto, quanto riesco a provare a mettermi nei panni dell’altro, al di là del “velo” , a immaginarmi di “camminare nelle sue scarpe”, a vivere nella sua casa, il suo quotidiano, giorno dopo giorno.
Ognuno ha esigenze molto diverse dall’altro, ma cercando di mettersi nei panni altrui potremmo cercare di essere meno assolutisti e potremmo accorgerci di qualcosa di nuovo. Potremmo persino imparare qualcosa di nuovo su di noi.
Chissà che oltre che discutere se e quanto serva o sia dannosa la mascherina possa insegnarci qualcosa sul modo in cui comunichiamo.
In tanti in questo tempo hanno dichiarato “guerre verbali” a mezzo mondo accusando di aver fatto o non aver fatto qualcosa, alimentando anche frustrazione e rabbia altrui, talvolta sfociata in gesti poco nobili; accuse false “a pioggia”, foto e video privati, danneggiamento di proprietà altrui, incendio di antenne telefoniche, danneggiamento di luoghi della cura, aggressioni fisiche.
Ma ci sono anche tanti begli esempi di persone che sono riuscite a reinventarsi, a tirare fuori il meglio di sé, persone che hanno saputo buttarsi in una nuova sfida per allenare qualità prima chiuse in un cassetto. Soprattutto si è visto il potere del cuore anche se lontano dai titoli, lontano dai social, lontano dai media, lontano dagli interessi economici.
Liberarsi di un problema, superare una crisi, rinunciare a comodità, acquisire abitudini nuove e più salutari, provare a comprendere l’altro richiede fatica e non basta dirselo o riconoscere che è il momento. Ci devono essere nuovi sforzi, piccoli passi, tutti insieme per un mondo inclusivo che consenta a ciascuno di trovare la propria nuova dimensione. Occorre il potere del cuore, quello della compassione, dell’amore, dell’amicizia, della filantropia, dell’altruismo. Occorre aiutarci a permetterci di crescere e migliorare, partendo dall’ascoltare e immedesimarsi nell’altro come un attore e il suo personaggio. Chissà cosa potremmo imparare dietro al velo di una storia.
Marina Pillon
ConsapevolMENTE benESSERE
Sogna il mondo che vuoi®
@marinapillon