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La favola di Curtain il Cavaliere “accecato” - Sogna il mondo che vuoi ®

26 Agosto 2016da MARINA

 

Come Lancillotto e molti cavalieri, anche Curtain era stato addestrato un tempo dalla dama del lago alle antiche arti segrete, ma un po’ per la sua indole pigra, un po’ per quell’arroganza manifestata fin da giovanotto aveva abbandonato il percorso probabilmente prima ancora di capire davvero il senso, oltre che l’utilizzo, degli strumenti insegnati con gran fatica.

Egli ostentava una sicurezza, una spavalderia, una sorta di grido di indipendenza e potere che nascondevano però un animo perduto, disintegrato dal dolore, dalla rabbia e una velata, molto velata quanto onnipresente dipendenza.

Egli aveva avuto un infanzia non più difficile di altri a quei tempi, tuttavia, in lui la lontananza del padre, sempre in giro per battaglie, e la freddezza della madre, alle prese con le difficoltà di sfamare tante bocche e al contempo difendersi dalle incursioni dei soldati, tutto ciò dicevo aveva avuto un impatto quasi devastante quasi come una ferita che non poteva rimarginare.

Queste due nature, contemporaneamente presenti, lo facevano agire a volte alternativamente tra il furioso e tirannico mercenario e il debole, bisognoso di supporto, incapace di rendersi conto quando era opportuno ritirarsi o procedere in battaglia, ma soprattutto facile preda di imboscate e imbrogli. Altre volte questi due aspetti coesistevano esprimendosi in modo incomprensibile e folle, tanto da fargli attribuire il nome del “cavaliere accecato”.

Egli era cresciuto insieme a numerosi fratelli, alcuni dei quali aveva perso in battaglia, ma sentiva dentro di sé una sensazione cui non riusciva a dare un nome, ma che evocava immagini interiori del padre lontano, della madre troppo indaffarata e forse anche dei fratelli, in fondo impegnati come lui a sopravvivere piuttosto che essere lì solo per lui.

Già, perché la verità era che Curtain si sentiva ancora un ragazzino, forse anche un bambino talvolta e come fanno i bambini avrebbe voluto che altri si occupassero di portare a casa da mangiare, assicurarsi che non ci fossero pericoli, sbrigassero tutte quelle cose impegnative e faticose chiamate responsabilità, ma allo stesso tempo voleva comandare e riconosceva solo la propria “legge”.

Prima di essere mandato a imparare dalle sacerdotesse del lago egli passava le serate nelle locande ad annebbiare i pensieri nel sidro, tra i bordelli dei vicoli bui, e nelle giornate in cui venivano giocolieri ed intrattenitori di ogni sorta finiva sempre a farsi spennare quelle poche monete che con grande fatica si riuscivano a racimolare.

Poiché era comunque estremamente orgoglioso una sera sentendo parlare delle gesta di Lancillotto mentre era alla locanda decise che avrebbe fatto anche lui il percorso per diventare uno dei migliori, anzi, si immaginò già mentre tutti lo applaudivano durante una sfida di spada con Lancillotto, ovviamente con Lancillotto perdente.

Ne parlò con la madre che con grande sforzo (oltre che per le occasionali battaglie a quel tempo due braccia ad aiutarla con la terra e gli animali erano importanti) lo incoraggiò e lo appoggiò nella sua scelta.

La disciplina però non era mai stata una sua qualità, nemmeno tollerata, per cui quasi immediatamente dopo grandi fatiche per convincere le sacerdotesse ad accettarlo (aveva potenzialità, ma vedevano chiaramente che il suo carattere gli avrebbe impedito di usarle) egli abbandonò il percorso.

Curtain riteneva di avere una grande volontà e che la disciplina e gli esercizi che gli venivano proposti fossero qualcosa di inutile per lui, dal momento che riteneva già di sapere come era il modo giusto, cioè solo il suo e deciso secondo l’umore del momento, di fare le cose e soprattutto riteneva le donne esseri inferiori, pur riconoscendo l’esistenza della conoscenza delle sacerdotesse.

Certo fin che si trattava di intrattenersi con giovani donzelle non si faceva pregare, in quanto si lasciava volentieri incantare dal fascino e la bellezza femminili e spesso donne disperate lo avevano anche imbrogliato e usato non presentandosi come le regolari meretrici con un prezzo per un servizio.

L’intelligenza, la saggezza, e tante altre doti però non riusciva proprio ad associarle al mondo femminile.

Lasciato quindi il percorso, convinto peraltro di essere in grado di fare meglio degli altri, vagò senza meta di villaggio in villaggio, riprendendo i rituali di un tempo; ogni volta che la rabbia o la paura o il senso di solitudine lo aggredivano li annegava nell’alcool, ogni volta che si sentiva solo, incapace di sentirsi adeguato nel luogo in cui si trovava, incapace di mettere dei confini, se non attraverso la spada, tra sé e altri con intenzioni malsane si lasciava andare a sentimenti contrastanti e spesso cadeva vittima di truffe e imbrogli, come quando era ragazzino, malgrado fossero ormai passati tanti anni. Quando poi si rendeva conto di questo si arrabbiava e tornava a bere e mandava al diavolo il mondo giocandosi quello che aveva in tasca e quasi sempre finendo la serata buttando all’aria tavoli e boccali o ritrovandosi derubato, in qualche angolo buio, spesso tra animali e latrine, solo e senza sapere come ci era finito.

Curtain non riuscì mai a trovare la strada di casa, malgrado in varie battaglie si incrociasse con i fratelli (la madre oramai era morta) non si riconoscevano più, loro non lo riconoscevano per quanto si era imbruttito dalla paura e dalla rabbia e dalle bassezze viste e vissute, lui non li riconosceva più perché vedeva ovunque solo nemici.

Il suo voler essere a tutti i costi quello che non era, il suo voler far credere, spesso credendoci davvero, di essere un grande cavaliere, forse il primo se non addirittura il futuro Artu’, la sua smania di potere senza controllo, la sua lontananza dai propri sentimenti, il suo disprezzo, la sua rabbia contro il mondo intero lo avevano accecato.

Una vita di viaggi solitari supportato da “stampelle” costose che ottundevano i sensi gli consentivano un alibi alla scarsa volontà di uscire da quel vortice senza fine. Persino in un periodo in cui aveva per un tempo più lungo sostato in una terra aveva trovato un diverso alibi per non imparare il senso delle regole, il senso della responsabilità e la disciplina non ottusa: lavorare al servizio di un fabbro senza sosta dal canto del gallo a buio inoltrato, senza mai fermarsi a gustarsi davvero o comprendere il senso di quella vita perché al buio della sera seguiva il buio dell’alcol, cui seguiva il buio della notte e continuava di giorno con il buio dentro.

Ma Curtain avrebbe potuto avere una vita davvero diversa se solo in un qualunque dei tanti incroci della vita avesse scelto di affrontare il proprio demone interiore invece di continuare a nutrirlo e credere che fosse là fuori. Se invece di rifiutarsi di accettare la monotonia del quotidiano e le difficoltà di lavorare sulla disciplina avesse ascoltato i tanti suggerimenti che poteva trarre dagli esercizi fatti nel breve periodo con le sacerdotesse, se solo si fosse esercitato anche solo sul ritmo, quanto avrebbero potuto essere diverse le cose.

Curtain avrebbe potuto scegliere diversamente e  anziché l”’accecato” avrebbe potuto avere mille altri soprannomi e magari, considerando certe sue inclinazioni e doti nascoste, persino il “Re visionario”.

Fino alla fine, è sempre una questione di scelta.

 

 

 

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MARINA

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a cura di Marina Pillon