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C'era una volta - Alla ricerca del senso perduto della fiaba - Sogna il mondo che vuoi ®

9 Gennaio 2016da MARINA

Nei giorni scorsi, un’importante testata giornalistica*, titolava: “Non sappiamo più raccontare le fiabe – Un saggio americano: solo gli inglesi riescono a inventarle. Non hanno paura del lato oscuro.”  Nell’articolo, con riferimenti a un’inchiesta di una rivista letteraria americana, veniva indicato come, partendo dall’esempio della saga “Harry Potter” sia possibile rilevare che in Inghilterra appunto si mantiene e prolifica la passione per i saperi esoterici e il rapporto con la natura e, questo, supportato dall’assenza di una religione indicata come troppo moralista, ha consentito appunto il sopravvivere del senso della fiaba.
Non entro nel merito del tipo di interpretazione accennata alle favole riportate nell’articolo, né mi interessa specificare se al contrario credo che anche in altri Paesi, incluso il nostro, il senso e l’uso della fiaba sia ancora diffuso, magari a un altro livello o con altre modalità espressive e che mutano in relazione ai tempi, ma sono lieta di prendere spunto dal suo articolo che ha portato luce su un elemento
apparentemente semplice quanto potente e prezioso proprio perché parla alla parte più profonda dell’essere.
Certamente è vero infatti che la favola, con le emozioni che muove grazie al suo linguaggio immaginifico ricco di significati simbolici a volte più palesi, a volte più nascosti, giunge davvero dove deve andare.
Ciascuno di noi ha un ricordo o un rapporto particolare in relazione alle fiabe. Il mio è legato alla mia sorellina (più piccola di me di circa quattro anni). Quando era piccola mi piaceva raccontarle una “fiaba” per accompagnarla in un sonno sereno, ma pur conoscendo le favole classiche, per quanto affascinanti, mi pareva che mancasse qualcosa sempre. Così, in modo del tutto spontaneo, intuitivo e se vogliamo  “primitivo”, intorno ai miei otto anni mi inventai delle storie-fiabe costruite intorno a lei, spesso
“principessa” in un mondo popolato dai classici “demoni e nemici naturali” che trovava qua e là mille doni preziosi che in realtà non erano altro che le sue grandi capacità che la facevano sempre uscire da tutte le situazioni. Certo, ero una bambina…
Nel tempo crescendo ho conosciuto il fascino magico delle parole nelle sue varie forme, ho avuto l’onore di conoscere la programmazione neuro linguistica in modo diverso da quella commerciale e svalutata che si trova in tutti gli “scaffali”, ho imparato da un grande “mago” (grazie Beppe) le immense e meravigliose potenzialità dell’ipnosi costruttivista, del coaching “naturalistico” e profondo, fino a giungere alla profondità complessa quanto semplice del senso della fiaba nell’antroposofia e la simbologia oggettiva nella filosofia acquariana di Baba Bedi.
Davvero in Italia si è perso il senso spirituale della favola? Davvero gli italiani si accontentano di comprare al supermercato solo un semplice libro di favole per i propri bambini e magari farli ridere solo per il suono che un personaggio emette sollevando un cartoncino e magari lasciando perdere la fiaba? Davvero, cresciuti, non abbiamo più il senso delle fiabe se non per rendere commerciali anche quelle attraverso uno scarso e squallido, spesso, uso della metafora per affabulare?
Davvero in Italia tutti si fanno solo influenzare da culture straniere che possono affascinare col senso dell’oscuro, ma senza farne proprio il senso, prigionieri magari di troppi falsi moralismi?
Così come non voglio ancora arrendermi a credere che l’unica alternativa alla situazione attuale sia di emigrare per poter lavorare, soprattutto se si è giovani, allo stesso modo non mi voglio arrendere a credere che un paese intriso di bellezza, storia, natura variegata non abbia stimolato nelle persone una piccola scintilla che li porta a voler andare a curiosare nel proprio lato oscuro…magari attraverso il recuperare le favole.
Vi aspetto….nel mondo del “c’era una volta”.
Ombra e luce.

Sogna il mondo che vuoi

 

 

 

*La Stampa – Gramellini

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MARINA

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a cura di Marina Pillon